Thursday, October 20, 2016

Le contraddizioni (a dir poco) di Evo Morales

Cari lettori, in questa puntata della rubrica “antropologia e pensiero libertario” pubblichiamo un lungo contributo dello scrittore di origine argentina che da molti anni vive in Bolivia, Franco Sampietro. 
Franco Sampietro ha una storia di vita veramente appassionante; si laurea in lettere a Cordoba (Argentina), si paga gli studi con incontri di boxe, decide giovane di andare a vivere in Bolivia, attratto dal movimento ecologista e indigenista boliviano. Scrive poesie, libri, fonda una casa editrice e traduce testi fondamentali di critica libertaria, ma non solo; nel giro di pochi anni diventa un giornalista delle maggiori testate boliviane. I suoi articoli taglienti in difesa della lotta indigena lo portano in carcere e una volta fuori è costretto a scappare in Europa, dove ci conosciamo, entrambi lavoratori in una cucina di un ristorante di Cadiz (Spagna). 
Con la vittoria di Evo Morales, torna in Bolivia; spera nel sogno del cambiamento anche se da libertario è scettico sulle possibilità calate dall'alto, ma torna per vedere con i suoi occhi cosa succede nel suo paese di elezione. 
Questo suo contributo che pubblichiamo ci racconta le contraddizioni del MAS (Movimiento al Socialismo) e di Evo Morales, ci racconta la sconfitta di uno di quei movimenti bolivariani che troppo spesso qui in occidente vengono supportati acriticamente da una sinistra troppo distratta o in malafede.
A.S.

FRANCO SAMPIETRO

Perché il presidente Evo si ostina a voler restare aggrappato a un discorso che i fatti smentiscono punto per punto e che, come ha capito, sappiamo essere falso? Perché alle Nazioni Unite ruggisce “Pachamama o muerte!” (Madre Terra o morte!) e il giorno dopo nel paese approva il progetto del Rally Dakar – Uyuni (deserto di sale nell'altopiano andino), il sito più bello della Bolivia? Perché tutto ciò ha a che vedere con un cambiamento nella strategia politica a partire dalla sconfitta elettorale dello scorso febbraio. Il caso del Pachamamismo è uno degli aspetti più grotteschi di questa virata.

Nonostante il neoliberismo abbia perso quasi del tutto la sua legittimità politica, in Bolivia esso sopravvive vigoroso, tanto nei piani alti quanto in quelli bassi del sistema. Ai piani alti attraverso una sovranità finanziarizzata che ha come suo principale punto di appoggio l'inserimento nel mercato mondiale (e che si esprime nelle attività di estrazione come fonte privilegiata di risorse); ai piani bassi si intravede nelle attività economiche popolari, che negoziano benefici in un contesto in cui si mescolano forme nuove di sfruttamento e di conflittualità. In pratica la razionalità neoliberista si è diffusa ed è cambiata, degenerando e trasformandosi in combinazioni inedite che non hanno nulla a che vedere con la sinistra.

È come se la Bolivia avesse vissuto, fino circa alla fine del 2003, un processo pre-rivoluzionario che si è fermato alle premesse. Nei fatti, la demagogia verbale del Movimiento al Socialismo (MAS) - che in quel momento storico è riuscito a capitalizzare il malcontento popolare - ha riempito il suo populismo (che è un qualcosa di distinto dal socialismo) di una serie di aforismi che vengono ripetuti quotidianamente, ma che sono totalmente falsi. Grazie a essi, oggi vendono l'ombra di qualcosa che ancora siamo in attesa di vedere in concreto; e allo stesso tempo il suo linguaggio diventa sempre più arzigogolato, mentre le azioni concrete ben esemplificano la virata verso destra. A questo proposito è così imponente l'abuso di una terminologia elementare presa dalla sinistra che la gente non ne comprende più il significato. Invece, gli strumentalizzatori di ogni epoca sanno benissimo che, a forza di battere su un punto, questo si impone alla realtà. O, per dirla con le parole di José Pablo Feinmann: “Uno dei segni del trionfo del potere è farci credere che l'ordine stabilito sia naturale”. (La filosofía y el barro de la historia)

Per entrare più nel concreto: il MAS fa un utilizzo spurio del linguaggio della sinistra, con l'obiettivo di camuffare una gestione apertamente neoliberista e, come corollario, nella pratica le cose assumono il significato esattamente opposto a quello linguisticamente originale. Come nel famoso romanzo di Orwell, 1984, il MAS ha creato una specie di neo-lingua politica il cui utilizzo abbiamo già da un po' di tempo imparato a decifrare.

Per esempio, uno dei pilastri, ma non l'unico, della sua narrazione sinistroide è quello del “processo di decolonizzazione”. Ma come si fa a essere decolonizzatori quando il modello economico si fonda alla base, per non dire nella quasi totalità, sulle attività estrattive? E cioè, sulla vendita di materie prime ai paesi avanzati (quasi il 70% del PIL interno proviene dall'esportazione di gas e quasi il 25% da quella di minerali e sodio alla Cina), in uno schema che ricalca quello che esisteva all'epoca del colonialismo ufficiale, quindi prima della seconda guerra mondiale. Di conseguenza, la Bolivia è un paese totalmente dipendente dalle metropoli (e continuerà ad esserlo, anche perché è il paese latinoamericano che investe meno in educazione, scienze e tecnologia). L'unica differenza sta nelle percentuali, ora (a detta del governo) più favorevoli alla Bolivia. Ma il modello continua a essere lo stesso di sempre, anzi si è addirittura approfondito: l'estrazione di materie prime – senza creare di pari passo una industria tecnologica in grado di trasformarle nel paese – e la loro vendita ai paesi capaci di lavorarle. Si è arrivati all'artificio di creare un Ministero per la decolonizzazione, che si dedica a cambiare i nomi delle piazze e dei luoghi pubblici, affinché la gente pensi che questo tocco di maquillage ci renda meno colonizzati, mentre le multinazionali continuano a portarsi via le nostre risorse naturali.

Nemici dell'ecologia
All'ombra di tutto questo è sorto tutto il discorso del Pachamamismo, che da questo punto di vista possiamo definire come una delle “tonterie” più malintenzionate del governo. Infatti il presidente si presenta come difensore della Madre Terra, anche da un punto di vista mistico (cioè da un punto di vista affettivo, non solo politico), e tuttavia nella pratica è un predatore e contaminatore come gli Stati Uniti o qualunque governo cannibale di destra. Scrive una Costituzione che mette per iscritto i diritti della Pachamama, ma allo stesso tempo questa è figlia della neo-lingua: fa esattamente il contrario di quel che predica. Diffondono dichiarazioni magniloquenti, e persino rivoluzionarie, alle Nazioni Unite, e in casa depredano. Gli stessi che organizzano i congressi ecologisti sono i principali nemici dell'ecologia.

Così, tra gli altri spropositi, il governo di Evo decide con la forza la costruzione di una superstrada nel mezzo di un parco nazionale che è pure territorio indigeno, reprimendo gli stessi abitanti del luogo che non vogliono essere invasi. Inaugura la costruzione di un impianto per la produzione di energia atomica: la prima della Bolivia, superando in questo anche i paesi più capitalisti, la cui tendenza invece è a ridurle. Decreta l'esplorazione e lo sfruttamento degli idrocarburi in aree protette, in modo che le multinazionali possano portarsi via ancora più risorse. Autorizza unilateralmente la deforestazione di gigantesche aree boschive per l'uso di sementi transgeniche, che come si sa, sono accompagnate da pesticidi altamente tossici. Approva lo sfruttamento delle riserve di litio più grandi del pianeta: aggiudicate a contratti stranieri, ovviamente. Indebolisce, di sua volontà, una serie di decreti supremi che tentavano di ridurre l'impatto ambientale generato dalle imprese minerarie, permettendo in questo modo la contaminazione delle acque e del suolo fino a renderle inservibili per qualunque forma di vita, come successo con il fiume Huanuni e il lago Poopò.

Una simile prassi si deve davvero all'amore per la Pachamama? E per questo il vicepresidente ha coniato un concetto, per definire gli ecologisti boliviani, che si attaglia più a un politico dell'ultradestra: “trotskisti verdi”.

Qual è di conseguenza il concetto di Pachamama del presidente Morales? Lo stesso che avevano i presidenti precedenti, di destra: Sánchez de Lozada, Tuto Quiroga o Bánzer; e cioè una cosa che è lì per essere utilizzata, venduta e spremuta a piacimento. O addirittura peggio: un'entità talmente reificata da poter essere presa in giro e maneggiata a piacimento, dal momento che a parole la si difende, e nei fatti la si distrugge. [...]

È risaputo che il governo può contare su un'immagine all'estero idealizzata e romantica fino all'assurdità, ripetuta in ogni occasione internazionale a cui partecipa la Bolivia. Un'immagine di successo non solo a livello economico e politico, ma molto più: quasi mistica o olistica. Un'immagine ridicola che chiaramente si basa sui personaggi che la neo-lingua ha tentato di creare fin dall'inizio. Anzitutto il movimento: in teoria di base, democratico, socialista, anticolonialista e diretto da indigeni. In secondo luogo, il presidente: una specie di Mandela o Gandhi nativo, lottatore, nobile, innocente, esotico, idealista e armato delle migliori intenzioni. E terzo, il vice presidente: uno che pare un Lenin sui generis, ma vivo e vegeto, che presenta se stesso con un'aura di superiorità morale rispetto al resto dei mortali (dobbiamo supporre per il suo passato nella guerriglia?). Sfiora persino il realismo magico, avendo nominato come cancelliere una specie di sciamano, quel brillante personaggio di Choquehuanca, che si vanta di non aver bisogno di leggere libri dal momento che “acquisisco la mia saggezza leggendo le rughe di un uomo anziano” e che ha raccomandato di alimentare i neonati con foglie di coca anziché con latte.

In silenzio e a colpi di decreto
Del resto, in un mondo interessato e affamato di miti, un emulo di Rousseau (che veste lui stesso la parte del “buon selvaggio”) può per un certo tempo diventare di moda, per quanto i fatti lo smentiscano, dimostrando ancora una volta come sia possibile convincere la gente che il vero è falso e il falso è vero. E chiamarsi “governo socialista” mentre in silenzio e a colpi di decreto privatizza, come accaduto con Banco Prodem, Grabetal, Ferroviaria Andina y Ferrovie dell'Ovest, vendute a privati, tra i quali diversi funzionari venezuelani. Per questo non stupisce che il filosofo sloveno Slavoj Zizek (che con un gesto molto snob la vicepresidenza aveva portato in Bolivia nel 2012 pubblicando due opere) rifletta, nel suo libro Chiedere l'impossibile, del 2014, che il discorso del presidente Evo sia nient'altro che una sfilza di frivole stupidaggini.

E tuttavia, nonostante tutto questo e alla massima buona volontà nell'interpretare i fatti, il momento che segna il passaggio definitivo del MAS da partito nella teoria diverso, ma in realtà tradizionale, lo abbiamo visto solo alle ultime elezioni del 22 febbraio, quando si è tenuto il referendum per modificare la Costituzione in modo da permettere a questo presidente così “democratico” di presentarsi niente meno che per la quarta volta come candidato. È stato come se il MAS, ringalluzzito o accecato dall'ingordigia di tanto potere, avesse visto cadere alla fine la maschera di questa presunta superiorità originaria, che brandisce come uno scudo, per poter finalmente “non preoccuparsi nemmeno delle forme”, per dirla come nella canzone di Carlos Puebla e lasciarsi andare alla “politicheria” spicciola di sempre. È il momento in cui ha iniziato ad applicare tutti i trucchi, i marchingegni e le possibili miserie (comprese quelle immorali e illegali) per vincere nelle competizioni elettorali, che infine ha perso.

Possiamo affermare che a partire dalla sconfitta dello scorso febbraio la strategia del MAS è totalmente cambiata. Non cerca più di convincere, argomentando o facendo ricorso al ragionamento, ma agisce attraverso una specie di bullismo politico, un qualcosa che potremmo definire un'attitudine da energumeno: la sopraffazione. Da un lato, sapendo che gli intellettuali lo criticano e che nelle città quasi più nessuno lo appoggia, come mostrano le statistiche, ha deciso di appoggiarsi totalmente al mondo contadino. In questo modo può presentarsi nelle campagne, trattare gli indigeni come bambini e continuare a dire alla gente più ignorante di essere un governo anticapitalista, antimperialista e perseguitato dalla destra. E nel caso delle città, prendersi gioco di noi con discorsi a cui nessuno più crede, che paventano un golpe, che minacciano tutti i dissidenti, che ci hanno annoiato e saziato fino alla nausea, e di cui è consapevole anche il governo: ma a lui non importa, già sa che non può più contare su di noi.

Sfortunatamente, la Bolivia è discepola di Parmenide: “È e non può non essere”, e non cambia a seconda del governo o del sistema politico: la sua impronta culturale, la sua essenza profonda, riequilibra le deviazioni. Dunque, ancora una volta abbiamo al potere un individuo che ha reso la sua patologia un giudizio politico: un leader carismatico e demagogo che si basa su un'adesione emotiva, non sulle idee. E in quanto al suo discorso in difesa della Pachamama, è solo una logorroica trappola retorica che potremmo commentare con la famosa citazione di Shakespeare (usata poi da Karl Marx per definire i capitalisti): “La via dell'inferno è lastricata dalle buone intenzioni”.
 

traduzione di Angela Ferretti

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De RIVISTA ANARCHICA, anno 46, n. 409, estate 2016 

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